I Cantastorie sono ormai del tutto scomparsi e rappresentano una tradizione molto preziosa collegati all’antica Grecia, nella quale era presente la figura dell’aedo, un cantore che narrava le vicende oralmente.
I cantastorie giravano di paese in paese in occasione di feste e ricorrenze.
Adattavano le versioni di racconti a quelli antichi o li rinnovavano e li sceglievano anche in base al dialetto da utilizzare nel luogo delle loro esibizioni.
Incursioni di pirati, miracoli, eventi catastrofici, l’amore, l’avventura, i tradimenti, leggende sacre e profane, vittorie e sconfitte, le bravate dei paladini, le gesta spagnole, le storie dei briganti (una tra le più famose è quella del bandito Salvatore Giuliano).
In Sicilia fu Palermo la culla dei cantastorie chiamati appunto “Cantastorie Orbu”, che nacquero intorno al 1500, anno nel quale i Gesuiti si avvalsero di loro, per diffondere storie sacre e liturgie a quanta più gente possibile.
I Cantastorie accompagnavano la “Cantata” spesso con strumenti musicali, quali la chitarra e la fisarmonica (in tempi più remoti con la lira).
Si aiutavano con un cartellone sul quale erano raffigurate le scene più salienti del racconto
Venivano pagati con le offerte degli spettatori e con la vendita di foglietti volanti sui quali era descritta la storia narrata.
Tra i più famosi cantastorie siciliani, ricordiamo tra gli altri, Gaetano Grasso, Orazio Strano, Ciccio Busacca, Rosa Balistreri e Rosita Caliò.
Il “Cuntu” rimane prezioso per le nostre tradizioni, per la nostra memoria storica, artistica, popolare, culturale.