Siamo in estate e il caldo è davvero soffocante in tutto il paese, ma in Sicilia (come tutto del resto) assume contorni esagerati e coloriti.
C’è “caudu”, “s’accupa”.
Intanto la parola “CAUDU” proviene dall’aggettivo latino “CALIDUM”, accusativo di “CALIDUS”, diventando “CALIDU”, perdendo la m e la i, viene fuori “caudu”, cioè caldo.
Mentre “accupari” (soffocare a causa dell’alta temperatura), è riconducibile al catalano “ACUBARSE”, cioè asfissiare, morire di caldo.
Una giornata “accupusa” è il preludio alla canicola che sta per arrivare.
Il siciliano comincia a “svintuliarsi”, si lamenta che “non c’è un filu di boria”, c’è l’umidità, e spera fortemente che arrivi una “pettubbazione” per rinfrescarsi, sempre con un nome di donna (chissà perché!).
Ma non finisce qua, a questo si aggiunge l’immancabile arrivo della “canazza” (stato psicofisico che colpisce il siculo proprio quando avrebbe più cose da fare, ma il cervello viene inghiottito in un buco vuoto e nero senza forza né volontà).
Ma comunque è molto capace, dopo aver sentenziato, a trovare la rassegnazione con la pazienza per le avversità che lo contraddistingue e chiude con: “L’avemmu e nu tignemmu!”.